Dalla Somalia, a Torino, alla Danimarca, è un viaggio infinito quello di Adar Abdi Pedersen, lungo migliaia di chilometri e iniziato oltre cinquant’anni fa; una storia di determinazione, di coraggio e di solidarietà; un percorso di emancipazione ancora in corso verso la conquista dei diritti civili inalienabili per tutte le donne del mondo. Fin da piccola, in Somalia, Adar ha dovuto lottare per la propria libertà, per andare a scuola, per non diventare una sposa bambina, per cercare di far accettare un nuovo sistema di valori alla sua famiglia. Ma per la sua cultura questi diritti non spettano a una donna, e quando avrà una figlia, dopo essere stata violentata da un marito non voluto, verrà perfino messa in discussione la sua maternità.
Comincia allora il suo cammino di indipendenza, dapprima verso la Mogadiscio degli anni della rivoluzione socialista, poi verso l’Italia, a Torino, durante gli Anni di Piombo, per proseguire dopo quasi quattro lustri in Danimarca, dove, grazie alla sua esperienza, Adar aiuta gli immigrati somali, in fuga da una tremenda guerra civile, a integrarsi nella società europea.
Il contrasto però tra lei e le nuove generazioni di immigrati è evidente, in particolare nel rapporto con la figlia, finalmente ritrovata ma indissolubilmente legata alle tradizioni della famiglia, del tutto smarrita in un contesto civile europeo, facile preda dell’integralismo.
Solo nei giovanissimi nipoti vede infine realizzarsi il sogno di crescere giovani somali finalmente affrancati da consuetudini millenarie e oppressive, proiettati verso un futuro di pace e giustizia.
Adar Abdi Pedersen è nata a Mogadiscio nel 1947. Dopo un matrimonio imposto in età giovanissima e la nascita della figlia, in cerca di un luogo dove venissero rispettati i diritti civili delle donne, è emigrata dal suo paese ed è arrivata a Torino durante gli “anni di piombo”; qui ha lavorato come infermiera professionale e ha svolto attività politica e sindacale. Dopo più di quindici anni ha lasciato l’Italia per raggiungere la Danimarca dove si è sposata e tuttora vive, occupandosi come volontaria dell’integrazione degli immigrati.