Due anni di politica migratoria europea: un primo bilancio

Italiano

di Luca Barana

Da oltre due anni, l’Unione Europea e i suoi Stati membri sono stati chiamati a promuovere un’azione comune per la gestione dei crescenti flussi migratori verso il Continente europeo. Se Paesi come l’Italia hanno indirizzato chiaramente la propria politica estera, identificando in un rinnovato rapporto con i Paesi africani di origine e transito una delle soluzioni indispensabili, rimangono forti le divisioni all’interno dell’UE, come dimostra il sostanziale fallimento degli schemi di ricollocamento dei migranti fra gli Stati membri.

Dopo la chiusura della rotta balcanica, grazie al contestato accordo fra UE e Turchia, la pressione migratoria è oggi pesantemente avvertita lungo la rotta del Mediterraneo Centrale, nel tormentato passaggio fra Libia e territorio italiano. Lungo questa rotta, nel 2016 sono sbarcati circa 181.000 migranti, mentre nei primi mesi del 2017 (gennaio - maggio) sono arrivate in Italia 60.000 persone, un aumento del 25% rispetto al periodo analogo dell’anno precedente. Al 31 maggio, i principali Paesi di provenienza dei migranti giunti sulle sponde italiane sono stati Nigeria (8.048), Bangladesh (6.352), Guinea (5.423), Costa D’Avorio (5.142) e Gambia (3.654); a seguire, cittadini di Senegal, Marocco, Mali e Sudan. Fra le nazionalità dichiarate allo sbarco, non è più presente in gran numero quella dei siriani, che invece avevano animato i flussi negli anni scorsi1.

È evidente come, a parte i migranti provenienti dal Bangladesh, fra le nazionalità più rappresentante figurino quelle di Paesi dell’Africa Sub Sahariana. Questa constatazione sembrerebbe confermare la bontà della visione italiana, che intende collaborare con i Paesi africani, identificati come partner fondamentali per la gestione di un fenomeno così complesso. Una visione che almeno in parte è stata accettata anche a livello europeo, come dimostra la predisposizione di numerosi strumenti politici (Migration Partnerships) e finanziari (European Union Emergency for Africa Trust Fund) rivolti espressamente al Continente africano.

Fra le azioni messe in campo, figurano poi l’accresciuta presenza di EU Liaison Officer in 12 Paesi africani: si tratta di uffici dell’UE che dovrebbero garantire una prima presenza sul territorio, in vista di una gestione dei flussi che dovrebbe iniziare sin dai Paesi di origine. Inoltre, al 13 giugno, data di uscita del rapporto della Commissione Europea sui risultati ottenuti sinora, lo EU Trust Fund aveva stanziato 1.9 miliardi di euro fra 119 progetti, distribuiti nelle tre aree geografiche obiettivo del Fondo: la regione del Sahel e del Lago Ciad, il Corno d’Africa e l’Africa Settentrionale.

La Commissione rivendica inoltre gli sforzi per aumentare il coordinamento fra le differenti iniziative che l’UE e gli Stati membri hanno messo in campo: un problema, quello delle iniziative ridondanti e che si sovrappongono fra loro, di cui da sempre soffre la cooperazione europea.

Un esempio di come l’UE intenda far operare in modo più coordinato la dimensione esterna della politica migratoria comune è ben identificabile nella Dichiarazione di Malta. Si tratta di un atto con cui, il 3 febbraio scorso, l’Unione Europea ha appoggiato l’accordo fra Italia e Libia siglato il giorno precedente. L’intesa con il governo libico rientra a pieno titolo nella politica di collaborazione che Roma intende perseguire con gli Stati sulla principale rotta migratoria verso le coste italiane. In tal senso, la Libia gioca un ruolo cruciale. L’intesa, come ricordato esplicitamente dalla Dichiarazione di Malta, si pone l’obiettivo di ridurre significativamente i flussi di migranti verso l’Italia, dotando in particolare la Guardia Costiera libica di strumenti e capacità di intercettare i migranti e riportarli a terra.

L’endorsement da parte dell’UE dell’accordo bilaterale italo-libico si è completato poche settimane dopo, quando, ad aprile, un progetto finanziato dallo EU Trust Fund è stato appositamente dedicato al miglioramento delle condizioni delle comunità di migranti presenti in Libia. Tramite questo progetto, l’UE stanza 90 milioni di euro per sviluppare uno spazio di protezione per i migranti in Libia e, allo stesso tempo, offrire un sostegno utile a stabilizzare le comunità ospiti.

Il percorso che ha portato l’UE a supportare l’accordo siglato dall’Italia sembra però privilegiare la necessità istituzionale di razionalizzare le iniziative di riduzione dei flussi dalla Libia, minimizzando invece il peso delle criticità che caratterizzano lo scenario nazionale: innanzitutto, rimane in forte dubbio l’effettiva capacità del governo riconosciuto dalla comunità internazionale di garantire il rispetto dell’accordo in un contesto di estrema frammentazione ed instabilità. E, soprattutto, non devono essere ignorate le violazioni dei diritti umani dei migranti, riportate da molte fonti (a partire dalle testimonianze di molte delle persone che sono riuscite a raggiungere l’Italia). Le azioni di capacity building finanziate dallo EU Trust Fund dovrebbero dunque essere indirizzate al rafforzamento delle capacità di assistenza, e non a quelle di mero contenimento.

La politica migratoria europea guarda però oltre le coste libiche, riconoscendo come la cooperazione con i Paesi di origine e transito divenga sempre più centrale. Per questo motivo la Commissione Europea nel 2016 ha identificato 5 Stati prioritari in Africa Sub Sahariana: Niger, Mali, Nigeria, Senegal ed Etiopia.

Il Niger, in particolare, continua ad essere al centro dell’impegno politico e finanziario europeo, in quanto Paese di transito dei flussi migratori dall’Africa Centrale ed Occidentale. Oltre agli aiuti diretti tramite lo EU Trust Fund, l’UE sostiene l’impegno del governo nigerino per dotarsi di una normativa coerente in materia di migrazioni e nella lotta al traffico di esseri umani. I risultati sembrerebbero dare ragione alla strategia europea: l’Alto Rappresentante Federica Mogherini ha recentemente rivendicato come nel maggio 2016 fossero stati registrati 70.000 passaggi da Agadez, il principale hub delle rotte migratorie nella regione, mentre un anno dopo, durante maggio 2017, i passaggi testimoniati siano scesi a 5.000. Tuttavia, è bene trattare con cautela questi dati, considerando che a fronte di maggiori controlli sulle tratte conosciute, è probabile che i trafficanti ricerchino soluzioni alternative, potenzialmente più pericolose per i migranti.

Il capitolo su cui l’UE punta molto, ma il cui sviluppo continua ad incontrare gravi difficoltà, riguarda la riammissione nei Paesi di origine dei migranti giunti in Europa. Nel caso della Nigeria, la Commissione evidenzia un certo miglioramento nelle procedure di rimpatrio, grazie alla presenza di liaison officer in Italia e la cooperazione con l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni per il ritorno volontario di cittadini nigeriani da Niger e Libia. La Nigeria ha anche accettato di aprire i negoziati con l’UE per un Accordo sulle Riammissioni. Tuttavia, su questo permangono più criticità nei negoziati con altri Paesi chiave come Senegal e Mali.

Tali ostacoli evidenziano nuovamente come una politica europea integrata non possa risultare davvero efficace senza la proposta di canali di migrazione legale. La chiusura a questo genere di soluzione non fa altro che alimentare la domanda dei ‘servizi’ offerti dai trafficanti di uomini. Una riflessione che pare però, al momento, difficilmente accettabile da molti Stati membri dell’UE.

1“Cruscotto Statistico Giornaliero 30 Maggio 2017”, Liberta Civili Immigrazione, http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/sites/default/f... allegati/cruscotto_statistico_giornaliero_del_31_maggio_2017.pdf  

Peso: