La via si fa andando: l'associazionismo al Centro Interculturale

Italiano
Progetto di riferimento: 

di Esperance Ripanti

 

Il presente: l’associazionismo

Ogni nuovo stimolo ha permesso al Centro Interculturale di accogliere e rendere partecipe in prima persona qualsiasi realtà dell’associazionismo che potesse arricchirne gli spazi e l’anima. Il Centro di Cultura Albanese, i Giovani Musulmani d’Italia, l’ASAI e i ragazzi del Passo Social Point sono alcune delle associazioni che hanno portato la loro diretta esperienza con le attività del Centro e il loro percorso personale.

Benko Gjata, il presidente del Centro di Cultura Albanese, ha ricordato con  buona nostalgia il Centro Intercultura come la prima istituzione cittadina che propose sia collaborazione che accoglienza ai cittadini albanesi. Realizzando e organizzando eventi di natura artistico-culturale (“Mondi lontani, mondi vicini”), negli anni i due centri hanno cooperato nel migliore dei modi. Riuscendo a superare gli ostacoli e la diffidenza iniziale di un popolo sbarcato in massa sulle coste italiane a inizio anni ‘90, per il quale l’unico obbiettivo era quello di riuscire a mimetizzarsi.

Con la dichiarazione provocatoria “preferiremmo venire insultati da italiani”, invece, Fatima Lafram, giovanissima e dirompente rappresentate de I Giovani Musulmani D’Italia, in sala è riuscita a mettere tutti d’accordo sulla questione ostica dell’impatto mediatico che impedisce ai giovani italiani musulmani di essere riconosciuti anche e soprattutto come italiani. Una difficoltà enorme, generatrice di un problema di natura identitaria che, sottolinea Lafram, nasce dall’esterno e diviene “dato di fatto”. Una riflessione precisa e attenta che non lascia spazio a repliche, ma aggiunge uno sguardo in più verso tematiche e questioni in cui tutti si dovrebbero sentire coinvolti per una pronta risoluzione.

Karima Ben Salah e Antonio Fiandaca sono due giovani ragazzi che rappresentano le seconde generazioni torinesi integrate e felici di collaborare con i soggetti dell’associazionismo, come quella dell’ASAI (Associazione di Animazione Interculturale), che ha posto il suo focus principale verso i bambini del quartiere più multietnico di Torino: San Salvario. Dal 1995, attraverso attività di laboratorio (come dopo-scuola e teatro) la sfida è sempre stata quella di divenire uno dei principali punti di riferimento del quartiere, mirando a svolgere anche un ruolo di mediazione e di facilitazione nei rapporti tra le famiglie e i ragazzi che frequentano il centro e, addirittura, fra le famiglie dei ragazzi e le scuole coinvolte.

Rasid Nikolic, ex profugo bosniaco e ora street artist, ha quindi raccontato, risvegliando il senso critico di tutti i presenti, la sua personale esperienza nel servizio civile presso il Passo Social Point. Rasid nel suo ruolo di mediatore addetto all’assistenza ai migranti nelle varie fasi (prima accoglienza, inserimento lavorativo, corridoi umanitari) ha disegnato con tratti decisi il vicolo cieco di un sistema che non riesce a migliorarsi. “L’Italia non è pronta”, dichiara in un discorso tanto lineare quanto difficile da portare avanti. “Non si sta facendo abbastanza e il tempo impiegato pesa solo a discapito dei protagonisti di questa operazione”. Nikolic ricorda a tutti che quella che viene chiamata “integrazione” non è altro che un percorso che necessita di tempistiche troppo lunghe per le esigenze che stanno avanzando ora nei luoghi come quelli in cui sta lavorando. Con tanta passione, ma anche con molta fatica.

A tirare le fila di queste testimonianze, si propone Roberta Ricucci (referente del Dipartimento di Culture, Politica e Società all’Università di Torino) e ricercatrice per FIERI (Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione). “Dobbiamo iniziare a comprendere che ragionare di giovani di origine straniera significa ragionare di giovani”, ponendo attenzione alle opportunità lavorative e sociali a livello cittadino, che diano un valore aggiunto alla società, arricchendone il potenziale. E, agganciandosi ai riferimenti precedenti di Gjata e Lafram, afferma che “gli stranieri in questo Paese cercano di farsi passare da italiani. Bisognerebbe passare a un nuovo livello, dove gli stranieri dal volersi sentire italiani, riescano ad essere italiani

Questo il bilancio da parte di alcuni dei protagonisti attuali e del passato della vita al Centro Interculturale: ma se “la via si fa andando”, bisogna anche guardare al futuro. Per questo motivo, nella prossima e conclusiva puntata di questo reportage, saranno proposti i colloqui con gli Assessori della Città di Torino Marco Giusta e Francesca Leon.

(L'articolo costituisce il risultato di un progetto coordinato dal CSA, volto alla formazione e alla promozione di una redazione composta da giovani della diaspora a Torino)

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